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IL PESCIOLINO D’ORO e ALTRE STORIE #leggerecirendepiùforti

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(Immagine tratta dal sito www.itmk.it)

(Immagine tratta dal sito www.itmk.it)

 

Uno dei ricordi più belli della mia infanzia è mio nonno che mi leggeva una, due, tre (tantissime) favole durante la mia giornata di figlia unica. Quando lui non poteva (e quando purtroppo non è più stato accanto a me per farlo) un mangiadischi arancione, esemplare ormai scomparso e sconosciuto di tecnologia pre-era digitale, sostituiva la sua voce, mediante il semplice inserimento di un 45-giri.

Avevo le mie storie preferite: “Biancaneve” (amavo alla follia la perfida matrigna), “Cenerentola”, “Cappuccetto Rosso”. C’erano altre favole che ascoltavo più sporadicamente perché mi mettevano troppa paura (“Hänsel e Gretel”) o tristezza (Pollicino – ma quanto è agghiacciante?! – o il “Pifferaio di Hammelin”). Ce n’era poi una che, non so bene per quale motivo, ascoltavo spesso a casa di mia zia: “Il pesciolino d’oro“, ricordo che mi faceva un effetto un po’ strano, non sapevo se amarla od odiarla. Oggi direi che, probabilmente, non la capivo. L’ho riscoperta in tempi recenti, quando i nonni hanno regalato a mio figlio un librone con la raccolta di alcune delle classiche fiabe per l’infanzia, la riedizione esatta di quelle che io ascoltavo da piccola: stesse voci, stesse musiche, identiche storie, solo il 45-giri sostituito da un moderno CD.

Lui adora ascoltare le favole e farsele raccontare e io credo sia un modo meraviglioso per impegnare il suo tempo (e anche il mio), quando la giornata è stata lunga e intensa, le energie per giocare sono ridotte al minimo e l’alternativa sarebbero ore e ore di televisione sulla quale io continuo ad essere (convintamente) abbastanza restrittiva. Temo che siano sempre di meno i bambini abituati a questi rituali, a sentirsi raccontare storie dai genitori o dai nonni, oppure ad ascoltare solo parole senza il supporto delle immagini, dovendo fare quel minimo sforzo per seguire il racconto e ricordare i fatti, i personaggi, quale fiaba viene prima e quale dopo.

Ormai da anni tantissimi studi internazionali hanno concluso che la strada migliore per crescere piccoli lettori (che poi diventeranno grandi lettori) sia proprio quella di leggere per loro sin da quando sono in tenerissima età. E niente mi potrà togliere dalla testa che una persona, di qualunque età, provenienza, cultura, istruzione, che legge possa avere l’opportunità di essere una persona “migliore”: più aperta verso il mondo, curiosa, capace di porsi domande e cercare risposte non preconfezionate. Di superare limiti e pregiudizi anche dell’ambiente in cui è cresciuta. Credo che qualsiasi buona lettura abbia un valore immenso per il futuro dell’umanità e, a maggior ragione, per coloro che a breve non saranno più solo bambini e diventeranno a tutti gli effetti “il nostro futuro”.

Oggi si celebra, tra l’altro, in tutto il mondo, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, di cui ormai quasi ogni giorno riceviamo drammatiche e disperanti notizie. Credo ragionevolmente che l’attitudine a leggere, ad informarsi, ad ampliare i propri orizzonti, non sia solo un ottimo strumento di difesa e prevenzione per le persone di sesso femminile, ma anche (e forse soprattutto, direi) per gli uomini che, guarda caso, sembrano essere coloro che leggono meno.

Le fiabe tradizionali per l’infanzia, con il loro mondo magico, ma al contempo spesso drammatico e crudele, sono un ottimo “allenamento protetto” per far conoscere ai più piccoli i fatti meno piacevoli della vita e contemporaneamente interiorizzare metafore morali di valore universale, dato che, come recitava un aforisma grandemente utilizzato nel fantastico asilo nido di mio figlio, “Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere” (G.K. Chesterton)

Ritorno un attimo al nostro “Pesciolino d’oro”. Mio figlio la sente spesso, ma non ho ancora capito se ne ha davvero compreso la morale. A me, oggi, piace da impazzire e in alcuni momenti me la ascolterei pure da sola: è una metafora inarrivabile della psicologia dell’essere umano, di quel “voglio tutto” che inizia da bambini e che per molti segna il leit-motiv di tutta l’esistenza. Salvo scoprire, poi, magari per fatti drammatici e imprevedibili che, come si usa dire oggi, less is more.

Se non vi ricordate la storia, andate a rileggerla (o a riascoltarla).

 


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